PIENI DI SOGNI I FIUMI – shtypi italian për librin e Zef Mulaj

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PIENI DI SOGNI I FIUMI – (Lumej ëndrash). Libri më i ri i Zef Mulaj

Parathënia nga Prof. Lino Palanca (Shkrimtar, historian), PORTO RECANATI, Itali

Prefazione

Zef Mulaj si cimenta con gli “haiku”, tipo di componimento poetico di apparente semplicità: tre versi che hanno l’aria di essere inoffensivi e, diciamo così, senza ambizioni di lanciare messaggi di “peso”. Una robetta, un po’ come la speranza di Péguy che sgambetta al modo delle ragazzine dando la mano alla fede e alla carità, le sue sorelle maggiori, più solenni e austere. E nessuno, però, si accorge che è lei, la speranza, che solcherà i mondi e li trasformerà. La vera energia creatrice, la giovinezza sempre nuova.

Una forza rivoluzionaria, come lo è il format del messaggio degli haiku, figli della raffinata quanto antica sensibilità poetica che ci viene dall’estremo oriente, dal Giappone per la precisione. Governati da mano e cuore capaci, sono una dimostrazione di come non stia scritto da nessuna parte che per farsi capire sia necessario sempre e solo spiegare e sminuzzare, sfruguliare all’infinito dentro le parole e le immagini, inventare per forza qualche cosa di nuovo: figure, giochi verbali, accostamenti arditi, tutto purchè “nuovo”.

Mulaj riesce, al contrario, a raccontarci se stesso e il suo mondo con l’uso sapiente della semplicità che ho ricordato all’inizio: scorrono sotto gli occhi del lettore le attese del cuore e le speculazioni della mente, i viaggi della fantasia, l’amore e la lama gelida del sentimento svanito, l’entusiasmo e la delusione; insomma, le vicende quotidiane del nostro percorso di vita, chiusi come siamo così spesso dentro di noi, timorosi dell’ignoto, ricchi di rimpianti, feriti dal mondo, alla ricerca continua del modo di conciliare la sua assurdità (del mondo) e la nostra indomabile voglia di capirlo. Un’illusione pure questa, forse.
La struttura dell’haiku e, per la verità, anche la sua storia, ci fanno subito pensare a uno strumento creato per catturare gli incanti del cuore e della natura, ai silenzi ghiacciati dai quali spuntano la bellezza, lo splendore del volto amato sotto la luna:

– Faccio tutto / perché ti amo: non lo sai? / Libero accesso.
Vero, ma non finisce qui, ché poi succede di trovarsi dentro riflessioni acute sulla funzione del poeta:
– Lacrima sfugge / la ruba il poeta attento / Dolore dei fiori;
e sulle sue parole al buio, che sono anche il suo orgoglio; e dentro all’indignazione contro la scienza ridotta a motore della violenza e dello sterminio:
– L’ho vista, sai, / la tua scienza esatta / volta allo sterminio .
– L’uso dell’iprite / Distruzioni di massa. / La pace quando?.
Accorato il lamento, lunga l’angoscia per il criminale sfacelo della casa degli uomini, che gli uomini distruggono giorno per giorno:
– Nuvole e fuoco / Ozono e ossigeno, per noi / E azoto … carbonio???
– Delirio di pioggia / Calda e acida cade sulla terra: / Risolveremo tutto?
In faccia a un siffatto scenario ci vogliono una coscienza civile da riscoprire e il coraggio di scendere in battaglia per recuperare l’appannato senso di ciò che è autenticamente umano; prima che faccia notte; prima che si oscuri il sole. Per sempre. L’autore avverte, pressante, la spinta dell’inesorabile, nata dalla mancanza di solidarietà universale, dall’impero degli egoismi, dalle rincorse verso la cima della montagna del denaro e del potere:
– Mondo orribile / Crudeltà dell’universo. / Dolore dei fiori.

C’è un rimedio? Non verrà da chi non ha salda coscienza dei doveri; al primo colpo di spada il vile scappa e sprofonda nella sua vergogna: bisogna farsi speranza per accendere la luce al buio perchè i rosai fioriscano e gli arcobaleni incoronino il cielo.
E per trovare la forza di continuare a combattere per un mondo migliore e quella, che forse è ancora più grande, di convivere con amarezze e pene e angosce che da sempre camminano sottobraccio con noi verso il nostro destino:
– È custodito il dolore / D’un tempo passato. / Guarda avanti.

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Credo sia per me doveroso non staccare la penna dai fogli di Mulaj prima di aver rimarcato un aspetto di questi haiku che mi pare non sia affatto trascurabile. Vale a dire le lezioni assorbite dall’autore nelle sue vaste letture e qui riproposte con puntualità ricca di grazia.
Echi ungarettiani e baudelairiani (L’anima del vino …), echi, ripeto: e la memoria del lamento di Quasimodo:
– È sempre l’uomo / Del tempo eterno: / Tradisce il fratello.
E ancora, un’indovinata interpretazione dell’eterna ballata prévertiana sull’amore:
– Questo amore / Bello come il fiore. / Così sicuro.
– Non muoverti / Abbiamo dimenticato / Lontano amore.
– Nella foresta / Della vecchia memoria / Segno di vita.
C’è modo e modo di assorbire le lezioni dei grandi poeti. C’è la maniera intellettualmente servile di chi mette il piede nelle loro orme e c’è la maniera di chi, come Mulaj, ne coglie l’imput per poi drizzare la vela verso rotte che sono sue, e di nessun altro.

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Ho conosciuto Mulaj solo poco tempo fa. Ci avrò parlato due o tre volte in tutto. Ma è sempre restato presente alla mia memoria. Vuol dire che è uno capace di trasmettere messaggi ed emozioni che hanno un senso e una loro forza propria. Ho idea che non sia davvero poco.

Lino Palanca
Porto Recanati, giugno 2014


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